Il pensiero di Giovanna Gioja su "Giobbe, storia di un uomo semplice"

Roberto Anglisani racconta la storia di GIOBBE

Visto il 02/02/2018 | Auditorium San Gaspare del Bufalo, Putignano (BA)

Venerdì 2 febbraio Roberto Anglisani, straordinario narratore, ha portato a Putignano GIOBBE Storia di un uomo semplice, spettacolo ispirato al romanzo di Joseph Roth. “Più di cento anni fa in Russia viveva un maestro..”: così comincia il racconto. Si può prestare attenzione a una storia lontana nel tempo che comincia come una favola? Possiamo noi, donne e uomini con lo smartphone sempre acceso – convinti di essere collegati con il mondo intero e di poterlo controllare – interessarci a un uomo modesto, che ha vissuto una vita ordinaria in un passato ormai remoto? Il protagonista del racconto, Mendel Singer, è un uomo insignificante “pio, timorato di Dio e ordinario, un comunissimo ebreo”, un maestro che ogni giorno insegna la Bibbia a piccoli scolari, come aveva fatto suo padre prima di lui, “uno stupido maestro di stupidi bambini: così pensava di lui sua moglie Deborah”.

Si sono spente le luci assieme al brusio che precede l’attesa dello spettacolo: con gli occhi fissi sul narratore siamo entrati anche noi in quella povera casa, nel villaggio di Zuchnow, e abbiamo seguito le vicende di Mendel, di sua moglie Deborah, dei loro figli Jonas, Schemarjah e Mirjam e atteso l’arrivo del quarto figlio, Menuchim. Menuchim non cresce come gli altri figli:  è  storpio, epilettico, non parla; l’unica parola che dopo anni di assoluto silenzio riesce a pronunciare è “mamma”, la dice per mangiare e bere, dormire, piangere, ridere e giocare.

Deborah non si arrende, si reca al cimitero ogni giorno per chiedere alle ossa degli antenati la guarigione di Menuchim, va dal rabbino per chiedergli consiglio, crede nelle parole che le dice: Menuchim guarirà, ma ci vorrà molto tempo e aggiunge che “il dolore lo renderà saggio, la cattiveria buono, l’amarezza dolce e la malattia forte”. Ci crede Deborah, mentre Mendel sa che nulla avverrà se Dio non vuole: non crede ai miracoli terreni, si affida alla preghiera quotidiana, servitore dell’Onnipotente, ripete ogni giorno gli stessi gesti, trova nell’abitudine la sua consolazione. Eppure, Mendel ama profondamente quel figlio “minore”, lo scruta nella speranza che possa dargli un segno di vitalità, vuole afferrarne il mistero. Solo un giorno, quando Mendel batte con un cucchiaio il bicchiere del tè e intona una canzoncina inventata sul momento, negli occhi di Menuchim si accende una piccola fiammella e la sua bocca grida più forte “mamma”.

Mendel accetta e prega, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ma la vita sconvolge l’abitudine, travolge, cambia i programmi. Jonas parte in guerra, Schemarjah diserta l’esercito e fugge in America. Mirjam, bella, giovane, passionale, si innamora di ogni cosacco che incontra: a ciascuno concede il suo amore, tra le spighe alte dei campi, li abbraccia, si fa abbracciare. Mendel ne è turbato e scandalizzato e quando dall’altra parte del mondo arriva Mac, che parla una strana lingua incomprensibile e gli porta una lettera di Schemarjah che lo invita, assieme alla famiglia, a raggiungerlo in America, allora questo mite e insignificante uomo vince la sua rassegnazione e decide di partire. Deve portare Mirjam lontana dalle tentazioni, ma è costretto a lasciare Menuchim al villaggio: una decisione che peserà come un macigno negli anni a venire, resi gravidi dal senso di colpa.

In America il destino e la Storia si prendono gioco di Mendel Singer: prima l’illusione di una tranquillità scandita da nuove abitudini, poi la tragedia che disgregherà per sempre la famiglia. Scoppia la Grande Guerra, Jonas è disperso, di Menuchim non si sa nulla, Schemarjah, il figlio americano, perde la vita in battaglia offrendola alla nuova patria. Deborah, madre che non si è mai arresa, è schiacciata dal dolore e un giorno, strappandosi ciocca per ciocca i capelli, muore. Myriam impazzisce e viene rinchiusa in manicomio. Mendel Singer, che si è sempre affidato alla volontà di Dio, ora è solo.

Il silenzio in sala si fa sempre più assordante, Mendel prende il libro di preghiere nell’atto di gettarlo nel fuoco: l’uomo giusto vuole uccidere Dio, l’Onnipotente vendicativo e traditore. Ciascuno di noi, fortunati spettatori, in quel momento, ha capito perché questa storia ci ha fatto venire le lacrime agli occhi: racconta dell’essere umano che cerca, da sempre, risposte al dolore, non ne trova, si ribella a Dio e al destino, non comprende che tutti noi “siamo nel disegno, e il disegno ci sfugge”.

Alla fine, un miracolo avverrà e sarà legato a Menuchim, creatura sacra e misteriosa; tornerà dal padre e gli riporterà, moltiplicata, quella fiammella che si accendeva nei suoi occhi al suono del cucchiaio battuto sulla tazza del tè. Menuchim è stato reso saggio dal dolore, buono dalla cattiveria, dolce dall’amarezza, forte dalla malattia. Mendel ora può riposarsi dal peso della felicità e dalla grandezza dei miracoli.

Grazie a Roberto Anglisani che ci ha raccontato questa storia con grande sensibilità narrativa, ha guidato il nostro sguardo sul mite Mendel con una delicatezza paragonabile alla misericordia che non esprime giudizi.

  • 20180202
  • Putignano (BA)
  • Auditorium San Gaspare del Bufalo