Non ci sono immagini migliori di altre per raccontare “Misericordia” di Emma Dante, non ci sono momenti più belli o meno belli.
Un’ora circa di spettacolo dove tecnica attoriale, danza e parola si mischiano, creano ritmi, sensazioni e suggestioni della meraviglia del vivere del quotidiano.
Misericordia sono tre madri, tre donne da un vissuto scomodo e complicato come la vita di chi deve guadagnarsi tutto tutti i giorni, dal rispetto al denaro, che si prendono cura di Arturo, un ragazzo speciale, sempre in movimento e in un mondo tutto suo. La sua mamma naturale non c’è più e a prendersi cura di lui ci sono loro.
Ma come natura, come le circostanze della vita, le madri devono lasciar andare i loro figli, in ogni caso, che scelgano o che sia una scelta, accade questo. E se anche è doloroso, bisogna sostenere il loro volo, le loro scelte e a volte anche qualcosa che non hanno scelto di vivere ma a cui devono far fronte. La storia si racconta nei gesti quotidiani, nel movimento del corpo, di parole probabilmente ripetute allo sfinimento e dagli oggetti di scena, pochi ma che evocano uno spazio e un luogo più ampi, che si realizzano nella mente dello spettatore mentre assiste allo scambio di battute. E una madre, surrogata o naturale, seppur nella sofferenza, finge di essere tranquilla per il proprio figlio, spingendosi fino a fingere di suonare un tamburo, una tromba o i piatti per dargli coraggio, rabbuiandosi solo nel momento in cui questo si gira o non la guarda.
Misericordia offre molti spunti di riflessione sulla figura della madre (appunto, Misericordia): genitore è colui/colei che ama un figlio e non è necessario che sia biologico. No, non è la scoperta dell’America ma un argomento sensibile che Emma Dante racconta con estrema concretezza e tanta dolcezza; intense le prove di attore dei quattro interpreti, che fanno sì che movimento e parola dei personaggi siano più forti della stanchezza attoriale: la prestazione fisica e interpretativa è una delle priorità su cui punta la regista.
Potente è la sensazione che si prova quando si spengono le luci, un’onda che si staglia addosso agli spettatori. Sta a loro farsi coinvolgere da quel che accade in scena o rimanere seduti sulla poltrona a guardare.