Il pensiero di Alessia Bindi su "Del Bene, Del Male"

Maschere decadenti e grottesche per l’ultimo capodanno dell’umanità

Visto il 05/02/2017 | Teatro Excelsior, Reggello (FI)

Del Bene, Del Male è uno spettacolo sulla fine del mondo, ma non aspettatevi invasioni aliene, asteroidi o catastrofi naturali. La fine del mondo rappresentata è metafora del declino di quello che potremmo chiamare pensiero occidentale.

In una sala da ballo riccamente ornata, la padrona di casa, algida ed elegante, attende i suoi ospiti elencando le date fondamentali nella storia dell’umanità. La cameriera e il maggiordomo, coppia adorabile che sembra appena uscita da un film muto, si danno un gran daffare per allestire la sala. Gli ospiti entrano a gruppi: prima i vip, poi i potenti, infine il popolo, tutti ignari del sacrificio catartico che li attende.

Stiamo assistendo all’ultimo capodanno dell’umanità, un’umanità ormai ridotta a copia sbiadita di se stessa, ben incarnata dalle maschere decadenti e grottesche degli ospiti in scena. A sinistra del palco, un po’ direttore d’orchestra, un po’ capocomico di rivista, il deus ex machina Stefano Cenci muove i fili della messinscena. Occorre precisare come lo spettacolo vari in relazione al luogo in cui venga rappresentato coinvolgendo attori e compagnie locali.

Come definire Del Bene, Del Male? L’aggettivo forse più appropriato è “spiazzante”, in primis per i temi affrontati, ma anche per la moltitudine di attori sul palco e il continuo sovrapporsi di musica e parole, al limite della cacofonia. Uno spettacolo talmente pieno di citazione che finisce con l’autocitarsi, come nell’entrata in scena, sempre uguale nei gesti guidati e nelle parole, dei gruppi appartenenti ai vari “gironi”. Uno spettacolo volutamente eccessivo, nelle scenografie, nei costumi (molto curati e dalle scelte cromatiche suggestive) nel numero stesso di attori contemporaneamente presenti sul palco.

Come in un gioco di scatole cinesi, nel gran calderone di Del Bene, Del Male ritroviamo Walt Whitman, l’inferno dantesco, Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (Le 120 giornate di Disneyland, il girone della merda), la cultura Pop, gli Europe di The Final Countdown.

Se i Maya o gli Egizi, dopo secoli di storia e cultura, si sono estinti, perché a questa nostra decadente società occidentale dovrebbe spettare un destino diverso? La morte è parte stessa della vita, non solo la delimita, ma le conferisce sostanza, le garantisce il suo vero significato. Tutto ha un suo inizio e una sua fine. I vecchi se ne vanno via sereni, perché in fondo hanno vissuto. Qualcosa, in fondo, l’hanno fatta.

Quando uno spettacolo nel chiudersi solleva questi temi, per quanto a tratti appaia come un frastornante carnevale e si possa lavorare per sottrazione, merita, nel bene e nel male, di essere visto.


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